Epidemiologia & Prevenzione anno 31(2-3) marzo-giugno 2007 Supplemento 1
Rodolfo Saracci
Metodi statistici elementari per l'epidemiologia clinica
Milano, 1967
Prefazione di Giulio A. Maccacaro (pdf)
Indice (pdf)
Epidemiol Prev 2008; 31(2-3) Suppl 1: 1-94 (PUBMED)
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Quarant'anni dopo
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La monografia Metodi statistici elementari per l’epidemiologia clinica compie oggi quaranta anni: è stata pubblicata nel 1967, prima della serie di monografie del Centro Gaetano Zambon dell’Istituto di biometria e statistica medica dell’Università di Milano. Perché ristamparla e perché ristamparla come supplemento di Epidemiologia & Prevenzione? Non per il contenuto, oggi troppo elementare e per diversi aspetti evidentemente datato. La motivazione della ristampa è essenzialmente storica, della storia minore di cui fa parte anche l’epidemiologia nel nostro paese. La monografia è stata redatta in un momento – la seconda metà degli anni sessanta – in cui la metodologia epidemiologica era venuta rinnovandosi sotto la spinta della necessità di indagare i determinanti delle malattie croniche. Non fu casuale se come seconda monografia della serie fu scelta la traduzione del volume di Richard Doll Cancer prevention: pointers from epidemiology, che affermava con chiarezza, sulla base delle evidenze già allora disponibili, l’origine ambientale di un numero non trascurabile di neoplasie. Fino alla metà degli anni sessanta i calcoli delle persone-anno negli studi di coorte si facevano a mano, cioè con l’ausilio di una calcolatrice capace di poco più che le quattro operazioni elementari, e prima di imbarcarsi in una qualunque regressione multipla si pensava non due ma quattro volte a quali variabili includere, visto che si sarebbe calcolata di solito una sola equazione di regressione (niente stepwise) invertendo laboriosamente con il metodo di Doolittle – e la solita calcolatrice – la matrice di devianze e codevianze. Nel 1960 era uscita la prima trattazione sistematica dei nuovi metodi epidemiologici (MacMahon e collaboratori, Epidemiologic methods) ma non era disponibile ancora nella letteratura internazionale nessuna collezione sistematica di metodi statistici per l’epidemiologia. Nella sua modestia, la monografia aveva l’ambizione di coprire per il pubblico italiano questa esigenza a un livello elementare e di introdurre la logica del ragionamento epidemiologico nel contesto della nuova epidemiologia delle malattie a eziologia largamente sconosciuta, presumibilmente non infettiva, definite quindi solo sulla base del profilo clinico, anatomopatologico e funzionale (di qui la dizione «epidemiologia clinica» che compare coerentemente nel titolo e nel testo in una accezione ben diversa da quella oggi ormai consacrata di metodologia epidemiologica negli studi diagnostici, prognostici o terapeutici in popolazioni di pazienti). Chi spenda qualche minuto a scorrerne le pagine vedrà delinearsi uno schizzo dell’epidemiologia come era andata consolidandosi nei due decenni posteriori alla seconda guerra mondiale: il clima era ancora – prima dell’esplosione delle contraddizioni sociali nel 1968 – permeato dalla fi ducia che il mondo camminasse tormentatamente ma nella buona direzione, lungo la quale si incontrava, per esempio, il riuscito (allora) modello del servizio sanitario nazionale britannico. La monografia è ristampata come supplemento a Epidemiologia & Prevenzione, rivista nata circa dieci anni più tardi. Monografia e rivista sono entrambe intimamente legate all’ambiente dell’Istituto di biometria e statistica medica dell’Università di Milano e alla persona di Giulio Alfredo Maccacaro, che ne era stato il fondatore e ne fu direttore fino alla prematura scomparsa nel gennaio del 1977, trent’anni or sono. Chi non lo ha conosciuto dovrebbe riprendere i suoi scritti di quel decennio 1966-1976, raccolti sotto il titolo Per una medicina da rinnovare, che occorrerebbe ristampare per renderli facilmente accessibili: non perché siano in presa diretta sugli eventi di oggi, ma perché sono penetranti e pertinenti alla comprensione del rapporto tra salute, medicina, salute e società capitalista nella sua evoluzione. Da allora a oggi il sistema capitalista si è trasformato in un sistema planetario con non pochi tratti orwelliani, dominato da un gigantesco mercato finanziario di natura largamente speculativa che ne condiziona, direttamente o indirettamente, tutti gli aspetti, incluse la sanità, l’epidemiologia e la prevenzione. Chi ha conosciuto e ha lavorato con Maccacaro sa di dovere al vigore della sua intelligenza e delle sue convinzioni, all’ampiezza della sua cultura e alla generosità del suo temperamento non solo l’allargamento e l’approfondimento dei propri orizzonti professionali ma, soprattutto, il radicamento nel «rifiuto indelebile delle diseguaglianze tra gli uomini» (limpida espressione di Rossana Rossanda nel suo ultimo libro). Questo radicamento in un fermo punto di ancoraggio e in un rapporto costante alla sanità pubblica fa sovente difetto a buona parte dell’epidemiologia moderna, in realtà più propriamente da considerare come «post-moderna»: da un lato per la sua polivalenza e concentrazione, comune a tutta la tecnoscienza contemporanea, sulla performance scientifica misurabile (in termini di prodotti ad alto indice di diffusione o di vendibilità commerciale), e dall’altro per il disinteresse di fatto, anche se sicuramente non di intenzione, verso gli usi che dei risultati dell’indagine scientifi ca verrà fatto o no. E’ questo un difetto da cui l’epidemiologia italiana, proprio per le sue origini negli anni sessanta e settanta, è meno affetta che l’epidemiologia più sviluppata di altri paesi economicamente avanzati. Questa constatazione suona come una nota di fi ducia nel futuro, in mezzo alla cacofonia civile del nostro paese, così come quaranta anni fa suonava – in chiave minore – come una nota di fiducia nel futuro la pubblicazione del piccolo libro qui ripresentato. Vorrei che la sua ristampa fosse anzitutto l’occasione per meditare, rispetto all’epidemiologia come a ogni altra impresa scientifica – teorica, pratica, pura, applicativa – una delle più profonde frasi che Giulio Alfredo Maccacaro ci ha lasciato: «La scienza, qualsiasi scienza, ha un unico scopo, un unico valore, un’unica dignità: alleviare all’uomo la fatica di essere migliore». |
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Aprile 2007 | Rodolfo Saracci |
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