L'ombra
del dubbio
Presentazione
del libro
Nei quattro racconti
che compongono "L'ombra del dubbio" compaiono ambienti,
persone e situazioni che il lettore ha già in parte conosciuti
fin da "Il laboratorio", pubblicato nel 1965 da Einaudi.
Si può dire infatti che Lorenzo Tomatis abbia composto nell'arco
di quattro decenni un unico libro, al quale si potrebbe dare il
titolo complessivo di "Storia naturale del ricercatore".
E si ritrovano in questi quattro racconti - due, tra cui il maggiore
ed eponimo, dedicati al mondo della ricerca; e due dedicati alla
malattia - la precisione visiva, la voce leggera e secca, la dirittura
morale, la problematicità che sono state riconosciute negli
anni all'opera narrativa di Tomatis.
Giulio Mozzi, Sironi
Editore
Estratto
dalla bozza di “L’ombra del dubbio”, di Renzo Tomatis
«Andammo insieme a trovare
Hueper poco tempo prima che desse le dimissioni. L’istituto
nel quale tuttora lavorava si era ingrandito, erano stati creati
nuovi laboratori, le apparecchiature erano state rinnovate, ma Hueper
era rimasto confinato nella sua stanzetta che pareva essersi ancora
rimpicciolita per l’enorme quantità di carte e libri
ammassati negli scaffali, sul bancone, su una delle due sedie rimastagli
e persino sul pavimento. La discrepanza fra la sua fama e il poco
conto nel quale veniva tenuto nell’Istituto dove lavorava
era fin troppo evidente. Essere in contrasto con il potere economico
non è mai una situazione di comodo, ma in un paese come l’America
diviene molto più simile a un’eresia che a una diversità
di opinioni. La commistione fra stato e industria in nessun altro
paese è così intricata e forte, e che un dipendente
da un Istituto statale fosse in lotta con larghi settori dell’industria
era chiaramente una situazione anomala e mal tollerata. Nell’istituto
la maggior parte dei suoi colleghi lo ignoravano o lo evitavano,
ma alcuni arrivavano anche a prendersi gioco di lui o anche a contestarlo
con una certa violenza.
Hueper e Henry discussero a lungo di problemi connessi alla tossicità
dei sali di cromo e di nickel dopo che nuovi risultati ne avevano
messo in evidenza la gravità. «Non so quanto ancora
potrò durare qui dentro. – aveva detto Hueper a un
tratto – Con la scusa che questa parte dell’edificio
ha bisogno di restauri, mi è stato notificato che dovrò
sgomberare, ma a tuttoggi non sono riusciti a trovare uno spazio
libero dove potrei risistemarmi». Forse perché, a causa
dei libri, solo una delle sue due uniche sedie era usabile, stavamo
tutti e tre in piedi. Non era più diritto e impettito come
l’avevo visto la prima volta, si era leggermente incurvato
e sembrava più teso e irritabile, ma sempre combattivo e
apparentemente instancabile»
Il ricordo (di Giulio
Mozzi)
Ho incontrato Lorenzo Tomatis una
volta sola, nella sua Trieste. Era fine ottobre, o forse i primi
di novembre. Pioveva. Conversammo per qualche ora in un caffè.
Quando ci lasciammo, mi fece un dono. Comperò una piccola
scatola di favette dei morti. Sono dei piccoli dolci fatti di farina,
pasta di mandorle e zucchero. Li riteneva una particolarità
triestina, si stupì che io li conoscessi. Nell'antichità
si presentava ai defunti un'offerta di fave. Si riteneva, e non
so da dove venga la leggenda, che in esse si rinchiudessero le anime
dei morti. Col tempo, e ancora non so quando, l'umile legume venne
sostituito da un piccolo dolce che ne imitava la forma. Tornai a
Padova, mia città, con le favette nello zaino. Quando andrò
a visitare i miei morti, nel loro giorno, e poi a casa consumerò
i piccoli dolci funebri per ricordare quanto era dolce la loro amicizia,
tra loro ci sarà Lorenzo Tomatis.
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