Tutti i numeri
sono uguali a cinque
Tutti i numeri sono
uguali a cinque è la raccolta di ventun racconti scritti
sotto l'azione leggera del flusso della scienza. I ventun autori
lavorano tutti a contatto con la scienza, chi più chi meno.
Dalla chimica alla fisica, dalla biologia alla tecnologia, dalla
medicina alla matematica. E hanno con lo scrivere un rapporto stretto,
anche se non sempre "professionale".
Tomatis ha scritto per noi un racconto,
La grande tela, ambientato nella "sua" Torino
e doppiamente autobiografico. C'è
l'inizio della sua carriera di giovane
medico, e c'è il commiato nella
figura di Mino che prima di morire trasforma la delusione in amicizia,
in creatività.
Stefano Sandrelli,
Daniele Gouthier, Robert Ghattas
Due
brevi estratti dal racconto di Renzo Tomatis La grande tela
«A due anni dalla laurea
in medicina i tentativi di trovare uno sbocco professionale soddisfacente
parevano destinati a sfociare inesorabilmente in un’amara
delusione. Le borse di studio, oltre che rare, non fornivano necessariamente
una garanzia di continuità o di una maggiore probabilità
di inserimento, ed erano spesso all’origine di frustrazioni
avvilienti. Nell’università degli anni 1950 non c’erano
posti disponibili ai quali i comuni mortali potessero aspirare con
un regolare concorso. Si sapeva con notevole anticipo chi sarebbe
stato il candidato vincente per i posti che si liberavano di anno
in anno con il contagocce e anche chi era stato designato come seconda
scelta nel caso l’eletto rinunciasse, o che so io, morisse
improvvisamente. La sola apertura era quella del volontariato, al
quale ci si adattava nell’illusione di guadagnare qualche
merito nei confronti di ipotetiche opportunità future. Si
accettava così di assolvere gratuitamente impegni di lavoro
precisi rispettando rigidamente un orario, con la sola contropartita
di potersi dichiarare come universitari. Ci si consolava scherzando:
in fondo è come se fossimo a bottega, dicevamo, come i giovani
pittori di una volta, anche noi impariamo il mestiere, solo che
le nostre tele nessuno le vuole.»
«Mi
ero accorto presto che l’apparente noncuranza con la quale
i colleghi inglesi esibivano le loro conoscenze e la capacità
di risolvere situazioni critiche, non era frutto di snobismo, non
soltanto almeno, era piuttosto il risultato di una loro applicazione
intensa e concentrata e di uno sforzo che non veniva mai messo in
mostra. Cercavo così di imitarli lavorando molto evitando
di darlo troppo a vedere. Arrivò un’altra missiva da
Gianni. Mino aveva avuto grossi problemi respiratori e si era dovuto
portarlo d’urgenza all’ospedale, era grave. Tornando
la settimana seguente da un congresso a Edinburgo, il primo al quale
partecipavo con una mia comunicazione, trovai il messaggio di Gianni
che Mino era morto. Il funerale, secondo i suoi voleri, era stato
fatto in forma strettamente privata. Sui giornali la notizia era
arrivata, ma neanche in quell’occasione i critici si erano
degnati di fare ammenda del loro lungo silenzio, e talora ostilità
aperta, nei confronti di Mino. “Il suo gran momento verrà,
ne sono certo”. Gianni continuava a esserne convinto. In una
lettera successiva alluse ai problemi che erano sorti intorno alle
opere che Mino aveva lasciato in gran disordine nel suo studio,
ma non fece alcun accenno alla grande tela.
Il mio soggiorno londinese si prolungò per tre anni e da
Londra mi trasferii a Edimburgo dove mi era stato offerto un posto
stabile. Da lì partii per uno dei tanti congressi vacanza
che venivano organizzati in località turistiche, quella volta
in Val d’Aosta, in un grande albergo vicino al casinò.
Non ero divenuto improvvisamente famoso, ma figuravo nel programma
con una comunicazione a mio nome. Ritrovando il primario e i miei
colleghi torinesi ci fu un primo imbarazzo anche per via del fatto
che, com’era logico, parlavo ormai l’inglese con maggior
disinvoltura di loro e potevo conversare amichevolmente con alcuni
luminari che neppure il primario aveva mai avvicinato. Passato quel
primo momento ci trovammo però da buoni colleghi e amici.»
Renzo Tomatis, 24 Settembre 2007
Sei mesi prima, mi scriveva, giustificando
la consegna anticipata del suo racconto per Tinsuac (Tutti i numeri
sono uguali a cinque) - il libro: "Spero
di non crearti complicazioni, ma sappi che lo faccio perché,
per via di alcuni problemi non minori, nei prossimi mesi non sarò
molto puntuale nella mia corrispondenza."
Non l’ho più sentito.
Tre giorni fa i suoi problemi non minori sono terminati. Non ho
mai visto il suo volto, né stretto la sua mano; ho conosciuto
la sua cortesia, ricorderò la sua delicatezza.
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