Contributo di Giorgio Tamburlini

I messaggi di Lorenzo Tomatis

Lorenzo Tomatis è stato innanzitutto e soprattutto un ricercatore e un direttore di ricerca che ha, con assoluta coerenza, contribuito a sviluppare e trasmettere un messaggio scientifico. E’ stato, inoltre, un intellettuale impegnato che ha sviluppato una sua visione di politica della scienza e, in quest’ambito, un messaggio altrettanto chiaro e coerente. E’ stato anche uno scrittore e un uomo con una sua visione del mondo, a me pare strettamente legata alla sua esperienza professionale. Mi sono riproposto di ricordarli, questi suoi messaggi, entrambi inerenti a temi che mi sono particolarmente cari.

In quanto ricercatore impegnato nel campo della carcinogenesi sperimentale, Lorenzo Tomatis ha contribuito alle nostre conoscenze sulla carcinogenicità di numerose sostanze chimiche. Per citarne solo alcune, più note al pubblico: l’asbesto, il cadmio, il DDT, il tricloroetilene, il benzene. Il suo lavoro, prima come ricercatore in laboratorio e poi come direttore dal 1984 al 1993 dello IARC, è stato quello di studiare i meccanismi della carcinogenesi chimica e di testare le diverse sostanze in modo da evidenziarne la eventuale carcinogenicità. Fondamentale il suo contributo alle monografie che lo IARC ha prodotto a partire dagli anni ’70 , che classificano le sostanze a seconda del rischio di indurre il cancro, consentendo così al legislatore azioni per ridurne l’immissione nell’ambiente o perlomeno l’esposizione nella popolazione generale e nei lavoratori esposti. La sua linea di pensiero era che ogni sostanza dovesse essere adeguatamente testata per il suo potenziale carcinogeno prima di essere immessa nell’ambiente e che basarsi sulla sola evidenza epidemiologica, benché fondamentale, rischiasse di farci arrivare troppo tardi per consentire una azione di prevenzione sufficientemente precoce. Analogamente, Tomatis ha sempre sostenuto che, certo, la diagnosi precoce dei tumori è essenziale, ma che la prima linea di difesa contro il cancro deve essere quella della prevenzione primaria, quindi della riduzione o eliminazione della esposizione ai carcinogeni ambientali. Avendo sempre sostenuto la rilevanza della carcinogenesi ambientale, si è trovato a contrastare le opinioni, di volta in volta prevalenti fra gli oncologi ricercatori, che la maggior parte dei tumori potesse avere una origina infettiva, in particolare virale, o, in seguito, sostanzialmente genetica. Oggi sappiamo che l’eziologia dei tumori è multifattoriale, cioè che, a seconda del tipo di tumore, vi contribuiscono in misura diversa tutti questi elementi, e non vi è alcun dubbio che fattori ambientali sono decisivi nell’indurre modificazioni del DNA, che a loro volta poi possono portare al cancro, oppure nel contribuire allo sviluppo del cancro in individui geneticamente predisposti. Vorrei ancora ricordare, qui, in un Istituto materno-infantile, che uno dei suoi più recenti campi di interesse era la carcinogenesi transgenerazionale, dimostrata sperimentalmente nei topi ma anche, purtroppo, dagli “esperimenti naturali” sull’uomo, basti citare il caso del dietilstilbestrolo.

Come uomo impegnato prima nella ricerca di laboratorio, prima all’Università di Torino, poi soprattutto a Chicago, suo luogo cruciale di formazione come ricercatore, Lorenzo Tomatis si è misurato molto precocemente con gli interessi che possono alterare la missione della ricerca scientifica in particolare nel campo biomedico: in un primo momento i tradizionali nepotismi che caratterizzavano, e ancora caratterizzano, una parte del mondo universitario e della ricerca, soprattutto in Italia; in un secondo momento, e per tutto il resto della sua vita, i potenti interessi commerciali in grado di impedire la ricerca, distorcerne i risultati, impedire la pubblicazione dei risultati non graditi, promuovere studi che hanno già risposte precostituite. E’ da ricordare la sua battaglia all’interno dello IARC, agenzia che per il suo mandato è sempre stata sottoposta a pressioni da parte degli interessi commerciali, ad un certo punto toccata dallo scandalo riguardante l’attività delle grandi multinazionali del tabacco e la loro penetrazione tra alcuni ricercatori; la sua polemica con lo stesso IARC, una volta uscitone nel 1993, quando a suo parere l’Agenzia era diventata troppo morbida nei confronti della pressione dell’industria; i suoi lavori a denuncia di quello che chiamava il “business bias” e cioè quegli studi direttamente o indirettamente finanziati dall’industria e tesi a contrastare le evidenze sulla carcinogenicità di alcune sostanze prodotte dalla ricerca indipendente. A causa di queste posizioni, Lorenzo Tomatis è entrato in contrasto con una parte non piccola del mondo oncologico e scientifico, italiano e internazionale.
Il suo più recente romanzo, “Il fuoriuscito” è sostanzialmente una autobiografia che ripercorre le tappe del suo esilio, prima dall’Italia come ricercatore, poi da una parte del mondo scientifico come fautore irriducibile dell’indipendenza della ricerca, e fustigatore di molti esperti internazionali collusi con gli interessi dell’industria. Un altro aspetto del suo impegno, a metà strada fra la ricerca e l’impegno politico, era la dimostrazione e la denuncia delle disuguaglianze sociali nella esposizione ai carcinogeni ambientali, e quindi dell’intreccio inesorabile tra la povertà e la gran parte dei tumori.

Tomatis è stato quindi un pioniere di istanze che sono oggi attualissime: la valutazione preventiva e a carico dell’industria del rischio biologico delle sostanze immesse nell’ambiente, il principio di precauzione per cui di fronte al rischio di un danno irreversibile misure devono essere prese per proteggere la popolazione dagli inquinanti ambientali anche in attesa di prove incontrovertibili di nocività, la necessità della dichiarazione di eventuali conflitti di interessi da parte di ricercatori e consulenti. Tutti principi ora accolti: i primi nel programma REACH approvato dalla Commissione Europea, l’ultimo dalle maggiori testate scientifiche e dalle organizzazioni internazionali.

Per questi suoi contributi di uomo di scienza a tutto tondo, pensiamo che dovrebbe essere ricordato dal Burlo ogni anno con un premio a lui intitolato, da attribuirsi ad un ricercatore che abbia dato un contributo importante nel campo della prevenzione.

Infine, qualche ricordo personale: il primo incontro, già significativo, agli inizi degli anni ’80, quando allora giovane medico ebbi a constatare la sua grande preoccupazione perché ad un bimbo ricoverato al Burlo per un piccolo intervento era stato somministrata delle chemicetina (cloramfenicolo) farmaco noto per il rischio di danno midollare. Nel ’96, quando Sergio Nordio lasciò la direzione dell’Istituto, mi attivai per portarlo al Burlo Garofolo come Direttore scientifico,e, una volta strappatogli questo impegno, nel coadiuvarlo nell’attività di vaglio dei progetti di ricerca che impiantammo allora con un rigore fino ad allora non conosciuto. Ebbi modo allora di conoscerlo meglio. Non fu un rapporto sempre facile, vi era tra noi una tensione, che a volte sfociava in confronti anche paradossali, come quando in una occasione mi accusò di eccessivo moralismo e di presunzione. Credo mi considerasse allora troppo giovane per essere in grado di misurarmi e misurare gli altri. Ricordo anche che, in quel triennio in cui restò direttore scientifico, fece anche parte, su richiesta del Ministro Bindi, della commissione Di Bella: non particolarmente entusiasta di questo incarico, che lo costringeva ad occuparsi di questioni parascientifiche in un ambiente non esaltante, lo aveva accettato perché pensava così di essere utile all’Istituto. Fu naturalmente, assieme al meglio (ma non alla maggioranza) degli oncologi italiani, fortemente critico di quell’approccio, agli antipodi del rigore scientifico. Più recentemente ci siamo ritrovati in diverse occasioni (come quando, due anni fa, gli fu attribuito il prestigioso Award del Collegium Internazionale Ramazzini) per interessi comuni nel campo della salute ambientale, di cui era divenuto un fervente promotore. Era molto attivo in questo campo quale presidente del consiglio scientifico dell’International Society Doctors for Environment e della sua sezione italiana.

La sua visione del mondo, per lo meno per la parte che mi è stato dato di conoscere, era quella, disincantata e amara, di un mondo dominato dagli interessi. Chi ha letto i suoi romanzi troverà lo stile asciutto dell’uomo di scienza, ma anche l’amarezza di chi si è trovato spesso sconfitto. Questa visione lo portava a volte a manifestare una certa sfiducia nella capacità delle persone di restare intellettualmente integre, o a criticarne il protagonismo, lui che certamente era per natura schivo e si teneva lontano dai riflettori. Anche il suo rapporto con l’Istituto è stato contrastato: pensava, e diceva, che le professionalità presenti in Istituto erano straordinarie, ma l’Istituto nel suo insieme troppo poco valorizzato in sede politica, ed allo stesso tempo, con queste professionalità, o meglio con gli uomini che le incarnavano, non aveva sempre rapporti facili. Ma l’affetto c’era, sempre: era solito ricordarsi, ad esempio, dei suoi passati collaboratori presso la direzione scientifica con qualche pensiero.

Caro Lorenzo, noi tutti ci auguriamo che tu possa ora, libero dagli affanni, sorridere con pienezza, soprattutto nel vedere quanti sono ancora quelli che ancora si adoperano per lasciare un mondo migliore.


Giorgio Tamburlini
Direttore Scientifico, IRCCS Burlo Garofolo
24 settembre 2007