Contributo di Pietro Comba

Un maestro


Ho conosciuto Renzo Tomatis nell’agosto 1978 a Lione, dove seguivo il corso IARC di Epidemiologia dei Tumori insieme ad alcuni altri colleghi (Paolo Vineis, Paolo Crosignani, Lorenzo Simonato e Marco Rosselli del Turco). Gli italiani che partecipavano ai corsi IARC, durante il soggiorno a Lione, prima o poi andavano a salutare Tomatis che, pur nella sua riservatezza, si interessava realmente a sapere che cosa faceva ognuno, dove lavorava e che progetti aveva. Il messaggio che Tomatis trasmetteva ai giovani era che la ricerca sul cancro richiede molto impegno, che attraverso ogni ambito disciplinare si può dare un contributo alla comprensione delle cause dei tumori, ma è sempre comunque necessario un approccio interdisciplinare: l’epidemiologo deve avere conoscenze di cancerogenesi sperimentale, e viceversa. Inoltre, Tomatis teneva molto a che fossimo consapevoli che la qualità del lavoro deve sempre essere molto alta. Non c’erano sconti su questo, soprattutto se qualcuno menzionava motivazioni di ordine sociale o politico per il proprio impegno professionale. Queste cose Tomatis le esponeva con poche parole, un sorriso , un guizzo degli occhi. La leggerezza dei toni non impediva però di cogliere la profondità del pensiero. Per noi era già allora una figura di riferimento.

Nell’ottobre 1981, Tomatis venne a Padova per parlare al convegno della Società Italia di Medicina del Lavoro, dedicato quell’anno ai tumori professionali. Mentre eravamo lì, si seppe che era stato nominato direttore della IARC, e questa notizia fu da noi accolta con entusiasmo, anche perché avevamo la sensazione, in qualche misura, di giocare nella sua stessa squadra, pur svolgendo un ruolo enormemente più modesto e circoscritto.

Qualche anno dopo, nel novembre 1988, a Firenze, presentai una relazione a un congresso al quale partecipava anche lui. Dopo il mio intervento, mi disse in modo garbato e lievemente ironico che condivideva il contenuto ma il mio tono era stato un po’ sopra le righe. Avrei potuto parlare con maggior sobrietà e uguale efficacia. Negli anni successivi cercai sempre di mettere in pratica questo insegnamento.

Quando Renzo tornò in Italia, fu più facile per noi avere contatti con lui, anche perché grazie alla posta elettronica gli si poteva chiedere per esempio di leggere un lavoro e formulare dei commenti, compito al quale non si sottraeva, ovvero di dare un parere su un particolare progetto di ricerca. Coerentemente con la sua impostazione ben riflessa nel progetto delle Monografie IARC, il suo interesse andava soprattutto agli studi relativi ad agenti la cui cancerogenicità era sospetta ma non provata, come i campi elettromagnetici e le emissioni degli inceneritori. Gli scambi con lui su questi temi costituirono per noi una fonte di grande arricchimento.

Ho incontrato Renzo l’ultima volta a Mantova nel dicembre scorso. A pranzo chiese che gli portassero solo delle mele (di cui elogiò la bontà). Nei mesi successivi lavorò ancora molto grazie alla posta elettronica. A maggio, a fronte di una ulteriore serie di documenti che gli chiedevo di leggere, mi scrisse che era stanco. E questo, come ho capito dopo, era stato il suo garbato e discreto modo di salutarmi.

 

Pietro Comba